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lunedì 30 settembre 2013

Insegnamento estivo n. 2

Ci sono persone che quotidianamente, senza saperlo, compiono miracoli per altre persone.

Ma questi miracoli non sono impressionanti sconvolgimenti nell'ordine naturale delle cose. Possono essere piuttosto paragonati a gesti molto semplici, come riportare nel tempo un orologio che si credeva destinato da sempre e per sempre all'immobilità. Oppure come spalancare le finestre di una camera in cui non ci si è mai avventurati, per darle luce e aria buona e poter così capire meglio le meraviglie o gli orrori che contiene.

Le nostre anime sono un po' come grandi case con un numero elevatissimo di camere ma la quotidianità, in cui spesso restiamo ingabbiati, ci fa dimenticare dell'esistenza di molte di esse obbligandoci a frequentare sempre le stesse.

A volte, però, in primavera arriva un ospite inatteso che, con la sola sua presenza, il suo sorriso e poche parole, ti porta dove non sei mai stato e ti fa vedere e sentire ciò che non hai mai visto né sentito.

domenica 15 settembre 2013

Insegnamento estivo n. 1

Quello che vogliamo e abbiamo sempre voluto dalle persone che ci stanno accanto è che ci ascoltino senza giudicare e che, partendo da ciò che davvero siamo, ci aiutino a diventare ciò che davvero vorremmo essere, invece di seppellire sorridendo i nostri volti sotto maschere che non vogliamo portare.

Persone così, che sono il tesoro più prezioso che la vita può donarci proprio perché fanno risplendere la nostra esistenza, spesso si incontrano dove e quando meno ce lo aspettiamo.

E anche questo è il segno che il caso non esiste e che tutto rientra in un ordine superiore che le nostre menti, semplicemente perché troppo piccole, non riescono a comprendere fino in fondo.

mercoledì 16 gennaio 2013

Solitari

In ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove. Sono una quota sperimentale che va alla deriva. Dietro di loro la traccia aperta si richiude.


Erri De Luca, Il peso della farfalla,
Milano, Feltrinelli, 2009, p. 27.


giovedì 31 maggio 2012

Silenzio

In uno dei suoi Shorts il poeta inglese Wystan H. Auden confessava: «Bisognosi anzitutto di silenzio e di calore, / produciamo / freddo e chiasso brutali». Il filosofo Friedrich W. Nietzsche osservava che «è difficile vivere con gli uomini perché è assai difficile farli stare in silenzio». Il vaniloquio filtrato dai cellulari, il flusso incessante delle notizie, il chattare senza tregua e senza contenuti veri, ma spesso solo in una marea di fatuità e vacuità, il fiume limaccioso delle volgarità o quello fangoso delle falsità fanno venire talvolta il desiderio che, per questa società della comunicazione di massa superinflazionata, si compia quanto si annuncia nel libro dell’Apocalisse: «Si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora» (Apocalisse 8, 1).

È come se nell’etere risuonasse un poderoso: «Zitti!», così da bloccare ogni sproloquio per almeno mezz’ora. La parola autentica e incisiva, in verità, nasce dal silenzio, ossia dalla riflessione e dall’interiorità, e per il fedele dalla preghiera e dalla meditazione. In mezzo al brusio incessante della comunicazione informatica, alla chiacchiera e all’immaginario televisivo e giornalistico, al rumore assordante della pubblicità, il cristiano (ma non solo) deve sempre saper ritagliare uno spazio di silenzio «bianco», che sia - come accade a questo colore che è la sintesi dello spettro cromatico - la somma di parole profonde, e che non è il mero silenzio «nero», cioè l’assenza di suono. Il Dio dell’Oreb si svela a Elia non nelle folgori, nel vento tempestoso e nel terremoto bensì in una qôl demamah daqqah, in «una voce di silenzio sottile» (1 Re 19, 12). Anche la sapienza greca pitagorica ammoniva che «il sapiente non rompe il silenzio se non per dire qualcosa di più importante del silenzio».

È solo per questa via che sboccia la parola assennata e sensata. Solo così si compie la scelta di campo sottesa a un famoso detto rabbinico: «Lo stupido dice quello che sa; il sapiente sa quello che dice».

sabato 12 maggio 2012

A spese dell'intelletto in generale

Coloro che sognano di giorno sono consapevoli di molte cose che sfuggono a coloro che sognano solo di notte. Nelle loro visioni grigie captano sprazzi d'eternità, e tremano, svegliandosi, nello scoprire di essere giunti al limite del grande segreto. In un attimo, apprendono qualcosa del discernimento del bene e qualcosa più che la pura e semplice conoscenza del male. Penetrano, senza timore né bussola nel vasto oceano della «ineffabile luce» e ancora, come gli avventurieri del geografo della Nubia, «aggressi sunt mare tenebrarum, quid in eo esset exploraturi».


Edgar Allan Poe, Eleonora,
in E. A. Poe, Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore,
Roma, Newton Compton Editori, 2006, p. 186.


mercoledì 8 febbraio 2012

Rothko Chapel

L'anelito spirituale espresso da molti artisti spesso ci offre il lato in ombra. Molte volte le vite degli artisti riflettono l'abbraccio necessario della notte oscura dell'anima.


John Buscemi, La Rothko Chapel,
in AA. VV., Liturgia e arte. La sfida della contemporaneità,
Magnano (BI), Edizioni Qiqajon, 2011, p. 162.

sabato 8 maggio 2010

Il cammino

Ovunque si cammini, il cammino sancisce la nostra appartenenza, pur breve, a un mondo che attende le nostre meditazioni e i nostri pochi versi. Per onorarlo nella sua apparente insipienza, persino nella bruttezza o nel suo estasiante splendore.


sabato 24 aprile 2010

Evanescenza

O virtuosi, il corpo umano è impermanente, non è forte né durevole; deperirà ed è quindi instabile. Provoca inquietudine e sofferenze essendo soggetto a ogni tipo di malattia. Virtuosi, tutti gli uomini saggi non fanno assegnamento su questo corpo che è simile ad una massa di schiuma, inafferrabile. È come una bolla e non dura a lungo. [...] È simile a un'illusione essendo il prodotto di pensieri distorti. E simile a un sogno essendo modellato dalle opinioni false. È come un'ombra ed è provocato dal karma. [...] È simile a una nube fluttuante che si può disperdere in qualsiasi momento. È simile a un lampo perché non si trattiene il tempo di un pensiero. [...] È privo di un io perché è simile al fuoco (che uccide se stesso). È transitorio come il vento. [...] È irreale perché la sua esistenza dipende dai quattro elementi. È vuoto, non essendovi né l'io né il suo oggetto. [...] È impuro e pieno di sudiciume. È infedele e sebbene sia stato lavato, bagnato, vestito, e nutrito, infine deperirà e morirà. È una calamità, essendo soggetto ad ogni specie di malattia e sofferenza. È simile a un pozzo asciutto, poiché è inseguito dalla morte. È instabile e morirà.


Charles Luk (a cura di), VIMALAKĪRTI NIRDEŚA SŪTRA,
Roma, Ubaldini, 1982, p. 28.

mercoledì 16 dicembre 2009

Labirinti perfetti

La pura luce e la pura oscurità possono diventare labirinti perfetti, spazi metafisici dove ci si può perdere definitivamente, senza un'adeguata preparazione spirituale.


In questi non-luoghi moto e immobilità sono equivalenti: con un solo atto di pensiero, spogliandosi dell'io, i maestri riescono a comprendere, a far propria quest'insondabile infinità, mentre chi non pratica un severo temperamento delle passioni rischia di cadere vittima dello sconforto e della negazione. Su questo piano sovrarazionale si realizza quella che Cusano chiamò coincidentia oppositorum.


Gli unici mezzi in nostro possesso per affrontare questa prova sono il distacco e la contemplazione.

lunedì 26 gennaio 2009

Spazi sacri (2)

Il commento di Ciubeka al mio precedente post sul tema degli spazi sacri mi ha riportato alla memoria una fantasia di quand'ero bambino.


Non ricordo di preciso quando ho cominciato a dar forma a questa fantasia ma so che l'ho coltivata per molto tempo.


Nella mia parrocchia la domenica si celebrano due messe: alle 9 e alle 11. Ovviamente la funzione più "gettonata" dai bambini era (ed è) quella delle 11, che permetteva di alzarsi un po' più tardi. Io invece, iniziando a servirla come chierichetto, preferivo quella delle 9. Quando andava bene eravamo in tre a servire. Molto tranquilla.


Ora, per un bambino di 8-9 anni il momento più noioso della messa è sicuramente l'omelia. Ma il chierichetto ha il vantaggio di essere seduto alle spalle del parroco per cui un'eventuale distrazione non può essere scoperta. Per cui io, una volta seduto, appoggiavo la testa al muro e iniziavo a vagare con gli occhi e con la fantasia. Guardavo gli affreschi sulla volta della navata centrale, seguivo i giochi di luci e ombre creati dai raggi del sole mattutino sulle pareti e quando la luce si diffondeva in lame sottili venivo rapito dal moto vorticoso e imprevedibile della polvere altrimenti invisibile.


Ma la fantasia di cui parlavo all'inizio è un'altra. Immaginavo che l'interno della chiesa fosse un'enorme piscina colma d'acqua fino al cornicione interno. E che io e l'altra gente presente ci trovassimo sul fondo di questa piscina immaginaria tenuti sotto dall'immane massa d'acqua sulle nostre teste. Quest'idea mi stimolava molto e, insistendo su di essa, poco per volta sentivo la voce del parroco sempre più lontana e indistinta. Tutto questo fino alla fine della predica. Poi, con un "sempre sia lodato", mi ridestavo dal torpore e la messa continuava normalmente.


Più di vent'anni dopo avrei compreso il senso di quella fantasia e come, in una prospettiva distaccata, gli opposti, come vacuità e pienezza, coincidano perfettamente.

lunedì 24 novembre 2008

Vuoto di contenuti?

Questa notte, sbocconcellando un po' di radio, ho sentito un presentatore sostenere che «viviamo in un mondo povero di contenuti».


Mah... Io non ne sono affatto convinto. Anzi trovo che mai come oggi siamo letteralmente sommersi di contenuti. Credo piuttosto che il problema sia interiore. Il cosmo è una straordinaria cassa di risonanza dei moti del nostro spirito. Se questo è coltivato con cura e quindi ricco e lussureggiante come un giardino, anche il mondo esteriore si gonfierà di contenuti tanto da lasciarci senza fiato. Ma ovviamente bisogna acquisire la consapevolezza di avere un mondo interiore da curare e a cui dedicare tempo.


Consapevolezza e stupore.

lunedì 22 settembre 2008

Spazi sacri

Ho ripensato, in questi ultimi giorni, a quanto scritto nel mio post del 15 scorso relativamente alle sensazioni provate nel fitto dei boschi in montagna.


Non sono forse le stesse sensazioni che gli uomini tentano di ricreare nei loro luoghi sacri? Il silenzio, la penombra (che spesso è semioscurità), la densità spaziale ricostruita con gli espedienti più diversi: foreste di colonne (penso a Luxor e a tante moschee del mondo musulmano), fumi e profumi di candele e incensi (che da sempre saturano gli spazi sacri delle religioni più disparate), liturgie. In Giappone certi luoghi naturali (perlopiù, guarda caso, foreste di conifere) sono considerati e venerati come veri e propri santuari. Gli esempi in questo senso si sprecano.


Dunque sembrerebbe che a qualsiasi latitudine culturale ci si trovi, gli spazi sacri siano tutti accomunati da questa stessa funzione (non dichiarata o inconsapevole): creare o trovare una sorta di luogo "sospeso" che permetta di percepire l'esistenza del Tempo e il suo scorrere vertiginoso.


Trovare lo Spazio per percepire il Tempo.


Infine un frammento di Tacito che continua a ronzarmi nella testa da quando ho focalizzato l'attenzione sugli spazi sacri (e quindi dev'essere importante): "Romanorum primus Cn. Pompeius Iudaeos domuit templumque iure victoriae ingressus est: inde vulgatum nulla intus deum effigie vacuam sedem et inania arcana" (Tacito, Historiae V, 9).


Inania arcana...

lunedì 15 settembre 2008

Non ci speravate più, eh?

Incredibile! È passato quasi un mese dal mio rientro dalle vacanze a Siusi e solo ora riesco a pubblicare sul blog le foto più belle (leggi: quelle che mi piacciono di più). Eh, sì, è stato un vero parto, anche perché quelle che vedrete sono il distillato di un coacervo di più di mezzo migliaio di foto scattate durante quei fantastici quattordici giorni con la mia fida Nikon D200.


Ho diviso le foto in due album: uno per quelle a colori e uno per quelle in bianco e nero. Tutte le foto di entrambi questi gruppi sono state stampate e il risultato è stato veramente notevole! ^__^


Foto a colori


Foto in bianco e nero


Per quanto riguarda la vacanza in sé, è stata *fantastica*! Non avrei saputo sperare di meglio. Essere liberi e averne consapevolezza è una sensazione davvero inebriante. Non potrò mai dimenticare le passeggiate nei boschi dei primi giorni: niente discorsi o parole inutili, solo il suono del mio respiro e quello ovattato dei miei passi lungo i sentieri. C'erano poi alcuni tratti di bosco così fitti che la luce del sole restava intrappolata nell'intrico dei rami: lì il silenzio diventava arcano, abissale. Un luogo dove anche il Tempo con le sue trappole era costretto a restare immobile per non essere scoperto, accucciato dietro gli enormi massi coperti di muschio in attesa di un passo falso della sua preda. E sentivi che solo lì c'era qualche speranza di farcela, che solo lì potevi giocartela alla pari, perché solo lì potevi avvertire chiara la sua occulta esistenza.


Perché si prova così tanta diffidenza, per non dire ostilità, verso la solitudine e il silenzio?

sabato 19 luglio 2008

Oltre la sfera del pensiero

Talvolta il mio stato somiglia a un sogno, e a essi il mio sognare sembra miscredenza. I miei occhi dormono, ma il mio cuore è sveglio; il mio corpo, nella sua rigidezza, è impulso e forza [...] I vostri occhi sono svegli e il vostro cuore dorme della grossa; i miei occhi sono chiusi e il mio cuore è davanti alla porta spalancata. Il mio cuore ha cinque sensi; i sensi del mio cuore sperimentano entrambi i mondi. Una codardia come la vostra non mi trarrà in inganno; ciò che a voi sembra notte, è per me giorno chiaro; ciò che a voi pare un carcere, è per me un giardino; la fatica più grande è per me dolce tregua. I vostri piedi sono immersi nel fango, il fango si muta per me in rose; quello che al vostro orecchio è funebre lamento, è per me fanfara nuziale. Sembra che io stia in terra e che indugi nella casa con voi, e invece salgo, come Saturno, al settimo cielo. Non io mi accompagno a voi, ma solo la mia ombra. La mia elevazione supera i vostri pensieri, perché io stesso ho superato il pensiero. Sì, sono sfuggito alla sfera del pensiero. Io sono il signore del pensiero, non ne sono dominato, come il capomastro è signore dell'edificio. Tutte le creature sono assoggettate al pensiero; per questo sono tristi nel cuore, e piene di afflizioni. Come un messaggio spedisco me stesso al pensiero, per poi sottrarmi a esso secondo il mio capriccio. Sono come l'uccello del cielo, il pensiero è come la mosca ─ che aiuto potrebbe mai darmi la mosca?


Jalâl âlDîn Rûmî, MATHNAWÎ

lunedì 2 giugno 2008

Al di là del mare (1)

Quel che non vedo,
l'infinito oltre il mare,
d'amor m'incendia.

Cinnamologus

* * *

« Nell'oceano del Tuo amore »

O Amico, nell'oceano del Tuo amore
voglio gettarmi, e lì annegarmi, e passar oltre;
un luogo di feste voglio fare dei due mondi:
voglio percorrerli, e mi ci voglio rallegrare, e passar oltre.

Voglio gettarmi nell'oceano, e lì annegarmi,
adm più voglio essere,
voglio essere usignolo nel giardino dell'Amico,
le rose cogliervi, e passar oltre.

Voglio essere usignolo e cantare,
voglio guadagnare cuori, perdere anime al gioco,
voglio tenere la mia testa mozzata nella mano,
voglio offrirTela, al Tuo passaggio, e passar oltre.

Voglio essere usignolo, e poi andarmene,
e correr dietro i cuori,
e poi, colmo d'amore, senza posa
sfregarmi nella polvere la faccia e passar oltre.

Grazie Ti siano rese, Signore: il Tuo volto ho veduto,
ho bevuto nella coppa della Tua unione;
voglio disperder ora ai quattro venti
questa «città-del-tuo-e-del-mio», e passar oltre.

Del Tuo amore Yûnus è folle, o Signore,
è il più umile degli incurabili...
E il mio rimedio è in Te:
Te lo voglio domandare, e passar oltre.
Yûnus Emre, in "I MISTICI DELL'ISLAM – Antologia del Sufismo",
Parma, Guanda, 1991

* * *

Carrickfergus

I wish I was in Carrickfergus
only for nights in Ballygrand
I would swim over the deepest ocean,
the deepest ocean for my love to find.

But the sea is wide and I cannot swim over
neither have I wings to fly.
If I could find me a handsome boatsman
to ferry me over to my love and die.

My childhood days bring back sad reflections
of happy times spent so long ago.
My childhood friends and my own relations
Have all passed on now like melting snow.

But I'll spend my days in endless roaming,
soft is the grass, my bed is free.
Ah, to be back now in Carrickfergus,
on that long road down to the sea

I'll spend my days in endless roaming
soft is the grass, my bed is free.
But I am sick now, and my days are numbered,
come all you young men and lay me down.
Celtic Woman, A NEW JOURNEY, Manhattan Records, 2007


martedì 18 marzo 2008

Et obtenebratur intellectus animae...

DIO È LA TENEBRA CHE RIMANE
NELL'ANIMA DOPO OGNI LUCE

Le idee delle cose presenti nell'anima, che rivelano ciò che in essa è contenuto e per le quali Dio è in qualche modo tutte le cose, è lui che le illumina nell'anima. Ma è dopo aver deposto tutte queste forme che l'anima contempla la divinità. Negando e rimuovendo da se stessa tutte le idee delle cose, si volge sopra di sé e vuole conoscere la causa prima.
E l'intelletto nell'anima si ottenebra, poiché non riesce a sostenere quella luce increata. E così, quando si volge a se stesso, dice: Ecco io sono nelle tenebre.


IL LIBRO DEI VENTIQUATTRO FILOSOFI, Milano, Adelphi, 1999

sabato 8 marzo 2008

L'ossessione della Verità

Gli disse allora Pilato: «Dunque sei tu re?».


Rispose Gesù: «Tu dici che io sono re. Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».


Gli dice Pilato: «Che cosa è la verità?».


.........................................


(Cambio di scena improvviso. Domanda senza risposta (?))


Quaestio speculum humanitatis.

venerdì 7 marzo 2008

Verità

Sei sicuro di avere ragione?
Sei veramente sicuro?
Aver "ragione" chiude le porte
alle "ragioni" degli altri.
Chi pensa che hai torto,
così come tu pensi che gli altri hanno torto,
ha torto.
Non esiste una sola ragione.
Esistono tante ragioni
tante quante sono le persone,
e lo stesso vale per i torti.
Tieni aperte le porte della tua mente
in modo che le ragioni e i torti e le cose che stanno tra di loro
possano passarvi attraverso liberamente.
Tra tutti questi relitti galleggianti,
fatti di conoscenze e credenze,
può trovarsi una gemma preziosa
che sta al di là di ogni ragione e di ogni torto,
il centro della verità cosmica.
Blawyn & Jones, I CHAKRA DEL BENESSERE, Gruppo Futura, 1997

domenica 24 febbraio 2008

La comprensione dello Spazio

«Che pianta è quella?».


La luce dura del mezzogiorno rendeva i rami secchi dell'albero piatte crepe nere su un cielo perlaceo di umidità in sospensione. Ero in cucina da solo, in quel momento, seduto accanto al tavolo ingombro di cose. Qua e là sui rami nudi e immobili pendevano baccelli rinsecchiti anch'essi. Il sole allo zenit non permetteva alle ombre esterne di penetrare dalla finestra aperta sul piccolo terrazzo.


«È un'acacia», mi rispose la voce amica ritornata nella stanza.


Ma la domanda, un'accozzaglia di suoni idioti indegna di risposta, era solo un rigurgito della mia anima sensibilis, quella che i maestri sufi chiamano an-nafs: ciò che i miei occhi stavano vedendo - l'albero, il cielo, il terrazzo - era una proiezione della mia mente.


Quello che mi aveva folgorato era altro.


Avevo compreso perfettamente lo spazio che separava me dalla mia visione. Non era lontananza nostalgica, né asfissiante vuoto pneumatico. Anzi. Era densità e presenza. Lo Spazio in sé.


Se in quegli istanti non feci alcun movimento non fu per impotenza o sopraffazione, ma perché non ve n'era la necessità. Non c'era un altrove da raggiungere o una preda da afferrare. Io ero il mio Altrove e la mia Preda.


Nella Qabbalah luriana si afferma che il primo atto della Creazione fu il ritirarsi dell'Uno "da sé in se stesso" lasciando uno spazio vuoto destinato ad accogliere la Creazione stessa: ora ho compreso il senso di quel vuoto e quanto esso sia lontano dal comune intendere.


Un'acacia... Avevo balbettato la mia stupida domanda immediatamente dopo aver ricevuto la più fulgida delle risposte.

lunedì 21 gennaio 2008

Conversazione interiore

L'uomo sciocco è così fatto che, a forza di sentirsi dare dello sciocco, finisce col crederlo e, a forza di dirselo da sé, anche. L'uomo, infatti, intrattiene con sé stesso una conversazione interiore, che è molto importante regolar bene: «Corrumpunt mores bonos colloquia mala» (1 Cor, 15, 33).

Blaise Pascal, PENSIERI, 157