Quello dell'anno passato è stato un autunno particolare.
Dava l'impressione di un'estate sospesa: la natura seguiva il suo ritmo normale ma tutto era immerso in una luce e in un calore inusuali. La vegetazione si spogliava, ma senza l'uggia che contraddistingue di solito quel periodo, anzi, con una dionisiaca sensualità. Era un piacere restare a contemplare le infinite sfumature delle vigne e dei boschi rese più sature dal sole del tramonto: si andava dal rosso carminio e granata fino al giallo oro e all'ambra in un fiammeggiante caleidoscopio.
E fu proprio in una mattina di quell'insolito autunno che ebbi una delle mie numerose pulviscolari rivelazioni. Attraversavo in macchina un piccolo paese per recarmi al lavoro. Alle mie spalle il sole era poco più alto degli alberi delle colline. Percorrevo lentamente un tratto di strada in discesa poco trafficato, che avrei poi lasciato svoltando a sinistra. I pensieri in testa e le persone per la via seguivano le loro proprie logiche cristalline.
Fu allora che iniziai a vederlo.
Procedeva lentamente, in senso contrario rispetto al mio, sul marciapiede di sinistra, proprio in prossimità del punto in cui dovevo svoltare. La luce bianca e abbacinante del sole mattutino dietro di me lo inondava. Avvertii allora il fluire brulicante dei miei pensieri non interrompersi all'improvviso, ma come svanire dolcemente, per lasciar spazio a un silenzio interiore puro e insondabile. Veniva avanti curvo sotto il peso dei suoi anni un omino sottile, la testa china a studiare ogni passo sotto un vecchio borsalino chiaro, sorretto da un nodoso bastone da passeggio fatto in casa. Portava una giacca e un paio di pantaloni chiari, entrambi i capi erano abbondanti per la sua taglia, un poco stazzonati ma decorosi: probabilmente un tempo erano stati gli abiti della festa.
Nella sua lentezza studiata arrivò alla fine del marciapiede proprio mentre io stavo svoltando davanti a lui. Si fermò esattamente sul ciglio e alzò la testa. Il viso, pallido, era segnato da rughe profonde e da una barba corta ma ispidissima. Un paio di occhiali dalla montatura nera e dalle lenti tonde e spessissime se ne stava appollaiato goffamente sul suo naso e rifletteva la luce del sole impedendomi di vedere gli occhi. Alzò la testa e il semplice atto di controllare che non ci fossero macchine, per attraversare la strada in sicurezza, divenne un amplissimo, solenne movimento del capo verso l'alto che parve andare oltre le automobili di passaggio, oltre il nastro d'asfalto, oltre gli anonimi edifici intorno, per fissarsi infine nel sole e intrattenere con esso un indecifrabile dialogo silenzioso.
Fui scosso da un violento brivido improvviso. L'avevo ormai superata, ma come ipnotizzato continuavo a guardare nello specchietto retrovisore quella figurina che diveniva sempre più piccola: restava immobile sul bordo del marciapiede guardando chissà dove. Poi un'altra brusca svolta a sinistra se la portò via per sempre.
Svanì l'incanto in cui ero stato rapito e ricominciai a sentire lo scroscio impetuoso dei pensieri a cui si era aggiunto il turbamento per l'intensa emozione appena provata. Cercai subito di ricostruire i pochi secondi di quella visione, chiedendomi che cosa davvero l'avesse provocata, ma non ottenni una risposta soddisfacente. Restava e resta tuttora intatto il mistero di quegli istanti. Quello che videro i miei occhi era identico a quello che videro gli occhi dei pochi altri passanti presenti in quel momento e continuo a chiedermi se qualcuno di essi abbia provato qualcosa anche solo vagamente simile a ciò che avevo provato io. Altra domanda senza risposta.
Ciò che rimane, intenso e aromatico come un profumo di spezie, è la sensazione che davvero i sensi siano solo una soglia.