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lunedì 7 gennaio 2008

Piccola epifania

Quello dell'anno passato è stato un autunno particolare.


Dava l'impressione di un'estate sospesa: la natura seguiva il suo ritmo normale ma tutto era immerso in una luce e in un calore inusuali. La vegetazione si spogliava, ma senza l'uggia che contraddistingue di solito quel periodo, anzi, con una dionisiaca sensualità. Era un piacere restare a contemplare le infinite sfumature delle vigne e dei boschi rese più sature dal sole del tramonto: si andava dal rosso carminio e granata fino al giallo oro e all'ambra in un fiammeggiante caleidoscopio.


E fu proprio in una mattina di quell'insolito autunno che ebbi una delle mie numerose pulviscolari rivelazioni. Attraversavo in macchina un piccolo paese per recarmi al lavoro. Alle mie spalle il sole era poco più alto degli alberi delle colline. Percorrevo lentamente un tratto di strada in discesa poco trafficato, che avrei poi lasciato svoltando a sinistra. I pensieri in testa e le persone per la via seguivano le loro proprie logiche cristalline.


Fu allora che iniziai a vederlo.


Procedeva lentamente, in senso contrario rispetto al mio, sul marciapiede di sinistra, proprio in prossimità del punto in cui dovevo svoltare. La luce bianca e abbacinante del sole mattutino dietro di me lo inondava. Avvertii allora il fluire brulicante dei miei pensieri non interrompersi all'improvviso, ma come svanire dolcemente, per lasciar spazio a un silenzio interiore puro e insondabile. Veniva avanti curvo sotto il peso dei suoi anni un omino sottile, la testa china a studiare ogni passo sotto un vecchio borsalino chiaro, sorretto da un nodoso bastone da passeggio fatto in casa. Portava una giacca e un paio di pantaloni chiari, entrambi i capi erano abbondanti per la sua taglia, un poco stazzonati ma decorosi: probabilmente un tempo erano stati gli abiti della festa.


Nella sua lentezza studiata arrivò alla fine del marciapiede proprio mentre io stavo svoltando davanti a lui. Si fermò esattamente sul ciglio e alzò la testa. Il viso, pallido, era segnato da rughe profonde e da una barba corta ma ispidissima. Un paio di occhiali dalla montatura nera e dalle lenti tonde e spessissime se ne stava appollaiato goffamente sul suo naso e rifletteva la luce del sole impedendomi di vedere gli occhi. Alzò la testa e il semplice atto di controllare che non ci fossero macchine, per attraversare la strada in sicurezza, divenne un amplissimo, solenne movimento del capo verso l'alto che parve andare oltre le automobili di passaggio, oltre il nastro d'asfalto, oltre gli anonimi edifici intorno, per fissarsi infine nel sole e intrattenere con esso un indecifrabile dialogo silenzioso.


Fui scosso da un violento brivido improvviso. L'avevo ormai superata, ma come ipnotizzato continuavo a guardare nello specchietto retrovisore quella figurina che diveniva sempre più piccola: restava immobile sul bordo del marciapiede guardando chissà dove. Poi un'altra brusca svolta a sinistra se la portò via per sempre.


Svanì l'incanto in cui ero stato rapito e ricominciai a sentire lo scroscio impetuoso dei pensieri a cui si era aggiunto il turbamento per l'intensa emozione appena provata. Cercai subito di ricostruire i pochi secondi di quella visione, chiedendomi che cosa davvero l'avesse provocata, ma non ottenni una risposta soddisfacente. Restava e resta tuttora intatto il mistero di quegli istanti. Quello che videro i miei occhi era identico a quello che videro gli occhi dei pochi altri passanti presenti in quel momento e continuo a chiedermi se qualcuno di essi abbia provato qualcosa anche solo vagamente simile a ciò che avevo provato io. Altra domanda senza risposta.


Ciò che rimane, intenso e aromatico come un profumo di spezie, è la sensazione che davvero i sensi siano solo una soglia.

martedì 18 settembre 2007

Il cinnamologus

Cinnamolgus et ipsa Arabiae avis, proinde ita vocata quod in excelsis nemoribus texit nidos ex fruticibus cinnami: et quoniam non possunt ibi homines conscendere propter ramorum altitudinem et fragilitatem, eosdem nidos plumbatis appetunt iaculis, ac sic cinnama illa deponunt et pretiis amplioribus vendunt, eo quod cinnamum magis quam alia mercatores probent.

Il cinnamologus è un'uccello dell'Arabia, chiamato così perché con la corteccia del cinnamomo costruisce i propri nidi su alberi molto alti: e dal momento che gli esseri umani non possono salirvi a causa dell'altezza e della fragilità dei rami, cercano di impossessarsi di questi nidi con dardi di piombo, e così tirano giù quel cinnamomo e lo vendono a più caro prezzo, perché i mercanti lo apprezzerebbero più di qualsiasi altro.

Isidoro di Siviglia, ETYMOLOGIARUM SIVE ORIGINUM LIBER, XII, 7,23

Ho finalmente iniziato a intrecciare il mio nido profumato.


Intenso, inebriante profumo di spezie.


Costruirò questo mio nido con tutto ciò che in qualche modo più o meno misterioso attira la mia attenzione, la mia curiosità. È questa la mia spezia fragrante: immagini, idee, folgorazioni che raccolgo dalle derive della quotidianità e porto sul ramo più alto di quest'albero dove mi trovo.


Piccole rivelazioni che ci schiudono nuove e inattese prospettive per una comprensione più profonda dell'Essere. Anche se spesso non ce ne rendiamo conto, è proprio su queste impalpabili, minutissime epifanie che ciascuno di noi costruisce la propria weltanschauung, la propria "visione del mondo".


Non voglio che questo diafano pulviscolo si corrompa insieme alla carne e agli umori corporali e ne segua l'inevitabile destino.